Il grido di dolore lo abbiamo raccolto su Facebook da un messaggio e alcune foto postate da Licio Santini, nostro lettore, che con viva e giustificata preoccupazione rendeva nota la grave condizione nella quale è stata ridotta l’edicola votiva nota come Cappelletta degli Appestati, che rimanda al 1630 -che è poi la data della peste a Milano descritta in modo memorabile da Alessandro Manzoni nei suoi Promessi Sposi- e che è situata in fondo a una lunga viuzza tra il Parco di Villa Litta e la palazzina uffici e spazi espositivi della nota e prestigiosa ditta di lampade e lampadari Luceplan, la stessa che ha ceduto gran parte degli spazi, prima occupati da capannoni e strade interne, per la costruzione di tantissimi alloggi, in questo periodo in via di finitura e consegna. Questo strano budello lungo più di 130 metri e largo 3, in fondo al quale c’è l’antica Cappelletta, sbocca in via Moneta come un’assurda stradina senza uscita, sino a qualche tempo fa abbandonata senza alcuna protezione ed esposta ad ogni intrusione, vandalismo, e usata pure come discarica oscena di materiali vari.
Gli episodi che più fanno male sono quelli provocati da azioni sconsiderate e da ignoranti devastazioni senza scopo di alcuni dei nostri giovanotti, autori di bravate dettate dalla noia interiore, intesa come disagio esistenziale (che non conosce ceto sociale), che si sfoga distruggendo e imbrattando cose e luoghi.
Luoghi che rappresentano un qualcosa “fuori da sé”, beni e simboli che non si percepiscono come propri e quindi oggetti o luoghi (per lo più pubblici) diventati bersagli da sfregiare e colpire, soprattutto in siti di chiara valenza collettiva e quindi di tutti. Basta guardare la foto che pubblichiamo in prima pagina per capire quale selvaggia furia distruttiva è stata usata per fare questo scempio alla piccola cappelletta, uno scempio inutile e balordo, compiuto con una mancanza di scrupoli e di consapevolezza delle proprie azioni che spaventa, cartina di tornasole dell’inconsapevolezza e dell’indifferenza dei loro educatori in senso più largo. Allora l’angoscia ci prende quando capiamo che a questi comportamenti i nostri giovani ci sono arrivati anche perché orfani di una giusta educazione civica, che non fa parte più della nostra cultura generale e del nostro sapere, abbandonata persino dalla pubblica istruzione che pure la prevedrebbe, specialmente nell’età adolescenziale quando si forma la personalità di ogni individuo che è un diritto di ogni futuro cittadino. Quindi, alla fin fine un esame di coscienza ce lo dobbiamo pur fare anche noi genitori, educatori, pubblica autorità, comunicatori, mass media, ceto politico e anche religioso. Dobbiamo capire (ma sì che lo sappiamo, se lo pretendiamo anche a muso duro dagli altri) che è fondamentale dare esempi comportamentali civici, morali e ancor più lessicali, avendo coscienza che le parole mal usate, colpevolmente e volutamente utilizzate in modo improprio e osceno -anche solo per fare audience, propaganda, per creare consenso nel “popolo” vociante e arrabbiato- entra oltre che nei timpani anche nella mente e nell’animo delle persone in generale, dove si crea l’assuefazione, lo sdoganamento (si direbbe oggi) di certe espressioni e modi di pensare, che spesso nulla hanno a che vedere con l’umanità e la pietas verso i più sfortunati. Parole, concetti e modi di fare che creano danni nei giovani irreparabilmente, anche per l’indifferenza a tutto questo di chi è deputato ad educare e correggere. Prendiamo coscienza di tutto ciò, prima che sia troppo tardi, per evitare la barbarie.